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San Michele e il drago. Presentato e ammirato il restauro dell'Arcangelo guerriero
"Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago (…) Il grande drago, il serpente antico (…) fu precipitato". Dai versi dell'Apocalisse alla facciata del Duomo di Orvieto, il passo è breve. L'immagine degli angeli armigeri è presente, infatti, già nel primo disegno di cantiere della cattedrale abbozzato su pergamena nella fase che precede l'arrivo di Lorenzo Maitani alla direzione della fabbrica (1310).
L'ultima asimmetria che privava di completezza il simbolo della città è terminata, invece, domenica 28 settembre, quando due agenti della polizia dal loggiato sovrastante la cuspide dell'ingresso di sinistra hanno svelato la copia della statua di San Michele Arcangelo – loro patrono – e il drago.
Un ritorno a casa che coincide, in realtà, con uno sdoppiamento. L'arcangelo guerriero difensore biblico del popolo ebraico, adottato dalla Chiesa come protettore e simbolo stesso del Cristianesimo militante e raffigurato nell'iconografia medievale come un cavaliere crociato, è stato restituito insieme al drago al suo Duomo e, alla città, sotto forma di copia.
L'originale, invece, ha trovato posto negli spazi museali del MODO, al termine di un lungo ma necessario intervento conservativo illustrato nel dettaglio nell'annunciato incontro tenutosi a Palazzo Soliano lunedì 29 settembre, festività di San Michele Arcangelo. "Una giornata importante – ha esordito Francesco Venturi, presidente dell'Opera del Duomo – che arriva dopo oltre dieci anni dalla rimozione del bronzo originale. L'immagine della facciata è oggi completamente restituita in tutti i suoi elementi iniziali".
"Non ci sentivamo privati solo di un elemento artistico – ha sottolineato il vescovo Benedetto Tuzia – ma della rassicurante presenza di una figura simbolica che dall'alto vigila, protegge e difende la città. Nell'eterna lotta tra il bene e il male, gli angeli hanno un valore nella vita della comunità civile. Come Maria schiaccia il serpente, l'Arcangelo vince sul drago".
Si è detto "onorato di assistere all'apposizione di un altro bel tassello per Orvieto", il sindaco Giuseppe Germani. "Ringrazio - ha detto - uomini e donne che all'interno degli enti svolgono un lavoro così prezioso, spesso al limite delle loro responsabilità, coniugando antico e moderno, tecnologie all'avanguardia con il restauro di opere importanti. In Italia siamo in grado di mettere in piedi grandi cose, abbiamo necessità di vederle e conservarle".
"Il Duomo – ha aggiunto il soprintendente Bsae dell'Umbria Fabio De Chirico – continua ad essere un cantiere nei secoli che necessita dell'opera di manutenzione, salvaguardia e tutela. Non nascondo l'emozione che ho provato nel vedere San Michele Arcangelo disteso come un malato, osservando da vicino qualità, raffinatezza e maestria che ne fanno un capolavoro. Quasi un'apparizione dorata, anche ora che gran parte di quell'oro è andato perduto. Musealizzare un'opera concepita per stare su una cuspide espone sempre a interrogativi. Più che quello emozionale, però, la valutazione investe l'aspetto tecnico. In questo caso, la scelta è stata quasi inevitabile. Ricollocarla all'esterno avrebbe vanificato l'intervento di restauro. La nuova collocazione preserva la bellezza dell'originale, inserendola all'interno di un racconto diverso, accanto alla Maestà, per costruire una nuova storia a cui tutti siamo chiamati a partecipare".
Assente, il direttore dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro Gisella Capponi ha affidato a Paola Donati del Laboratorio di restauro manufatti metallici la lettura del proprio saluto, in cui si fa riferimento a un "nuovo anello della lunga catena di interventi realizzati in collaborazione tra l'Istituto e l'Opsm".
"La restituzione della scultura – ha spiegato Alessandra Cannistrà, curatrice del Modo – reintegra una lacuna storica ed estetica. L'augurio è che lo stesso metodo che concilia tradizione e innovazione si traduca ora nella progettualità che integra gli aspetti della conservazione preventiva alle legittime esigenze della fruizione".
"Una narrazione generale sul duomo - ha concluso Francesco Scoppola, direttore per i beni culturali e paesaggistici dell'Umbria - potrebbe dire che negli ultimi 200 anni è andata falsificandosi, ma esistono problemi di conservazione a volte sottintesi e tecniche di riproduzione degli originali in continua evoluzione. Da Orvieto dovrebbe partire un esempio: dismettere schieramenti aprioristici e cercare di concorrere tutti a fare il meglio possibile recando apporti e mediandoli a un tavolo".
Documenti dell'Aodo alla mano, la statua realizzata nel febbraio del 1356 è opera del maestro fonditore di campane Matteo di Ugolino da Bologna, autore anche dell'Agnus Dei situato al centro della facciata, della cancellata in ferro della Cappella del Corporale e della campana dell'orologio sulla Torre del Maurizio. Richiese dieci giorni di lavoro e una spesa di 12 lire e 15 soldi. La figura fu completata nel marzo successivo con l'aggiunta delle ali eseguite da Guido Orefice per 8 lire e 5 soldi. Altre spese per una "plastra raminis pro angelo traiectato" e ancora per "once di rame" sono registrate in data antecedente e successiva alla fusione.
"In occasione dei lavori di restauro sulla facciata del 2002-2003 – ha ripercorso Giusi Testa, che prima per la Soprintendenza e poi per l'Iscr ha seguito la vicenda del San Michele, orientandone l'avvio – ad una visione più ravvicinata, ci si è accorti che il gruppo scultoreo gravava in pessimo stato di conservazione e che i vincoli che legavano l'opera al loggiato erano fortemente deteriorati e non esercitavano più la loro funzione. Sulla base di questi elementi, si è deciso di rimuovere l'opera e procedere con un intervento conservativo passato per un attento esame visivo, la campagna diagnostica, lo studio della struttura e delle fonti storiche. Lo spadino era in realtà una baionetta in ferro apposta, fuori contesto, nel 1919, le cui ossidazioni avevano finito per rovinare parte della mano e del viso e quindi rimossa – così come il collante sintetico moderno che la teneva ferma – perché non congrua. Avevo previsto l'apposizione di una nuova spada, lunga e sottile, che poteva somigliarsi a una che è custodita nel Museo dell'Opera del Duomo di Firenze, ma la richiesta non è stata accolta. Quello della spada rimane, comunque, un tema di riflessione assolutamente aperto. Si potrebbe, infatti, realizzare una copia da inserire".
"Rimosso il manufatto – ha proseguito Roberto Ciabattoni (Iscr - Laboratorio di fisica) – le problematiche legate alla conservazione emerse sono state quelle relative alla presenza di consistenti depositi di guano e di particellato atmosferico e alla perdita di maggior parte della doratura. Ma anche processi di corrosione attivi su tutte le superfici e lesioni passanti al braccio sinistro, agli arti inferiori causate dal deterioramento della struttura interno in ferro. Si è deciso, quindi, di eseguire una copia con calco indiretto, vista la delicatezza della doratura ancora esistente, e di procedere con la realizzazione di un modello ottenuto con tecnica 3D impiegato per la realizzazione della copia. La copia del prototipo è in resina pigmentata, il modello tattile realizzato può essere messo a disposizione".
"Il restauro conservativo svolto a scopo protettivo – ha specificato Paola Donati (Iscr - Laboratorio di restauro manufatti metallici) – è stato condotto in maniera rispettosa dell'opera. Non ci sono state scelte interpretative. Quanto alla spada, non ci sono testimonianze di come fosse in origine. Intervenire con un elemento complementare in questa fase ma sarebbe stata un'interpretazione arbitraria dal punto di vista della soluzione finale. Il gruppo è stato fuso con la tecnica della cera persa, in più parti saldate tra di loro. Difetti di fusione sono stati localizzati soprattutto sui piedi dove sono evidenti ampie sbolliture derivate dalla mancata fuoriuscita dei gas e dell'aria durante la fusione. Il più grave problema di conservazione dell'opera era costituito dalla struttura interna di sostegno in ferro, alterata e dilatata al punto di produrre danni irreversibili sopratutto nel San Michele ma anche nella parte terminale della coda del drago. Il bronzo presentava una superficie coperta da croste nere, la cui consistenza adesiva e coesiva, diventava in alcune zone anche pulverulenta a causa della corrosione sottostante. Le ali caratterizzate da una lavorazione superficiale eseguita a freddo dopo la fusione erano dorate anche sul retro".