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Collezione Palazzi Papali - Primo piano - Sala delle Sinopie

La Sala ospita i grandi pannelli delle sinopie degli affreschi trecenteschi della cappella del Corporale in Duomo, distaccati in occasione dei restauri eseguiti tra il 1975 e il 1980. Essi rappresentano un documento di eccezionale consistenza per la storia dell'arte e costituiscono quasi un negativo fotografico di straordinaria importanza per lo studio e la conoscenza della cattedrale. Nel contesto, sono stati inseriti e restituiti alla fruizione altri materiali artistici che negli ultimi anni sono stati oggetto di interventi di restauro grazie alla collaborazione e al supporto tecnico dell'Istituto Centrale per il Restauro e, parallelamente, al contributo continuativo della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, partners determinanti che hanno condiviso con l'Opera del Duomo l'impegnativo intento. Si tratta di un gruppo composito e cronologicamente articolato di dipinti, sculture e oggetti decorativi, differenti per epoca e provenienza, all'interno del quale spiccano opere di grande interesse storico-artistico e alcune particolari testimonianze delle vicende artistiche della Cattedrale e della città.

Raffaello Sinibaldi detto da Montelupo 

(Montelupo Fiorentino 1504-Orvieto 1566)
San Michele Arcangelo
circa 1560
marmo scolpito, h. 106 cm
provenienza: Orvieto, duomo, facciata
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Erroneamente attribuita da Garzelli, sulla falsariga del Fumi, a Vincenzo Pacetti, la statua fu commissionata al Montelupo durante il decennio in cui, a partire dal 1555, servì come capomastro la Fabbrica orvietana. Destinata al "frontespizio sopra la terza porta verso la chiesa di San Giacomo", doveva essere stata da poco realizzata quando, il 28 maggio 1561, venne acquistato rame per dotarla delle ali, e fogli d'oro per dorarla conformemente alle altre statue della facciata.
Rimossa nel 1816 per essere restaurata dal maestro scalpellino Camillo Cardinali di Orvieto che reintegrò parzialmente braccia e mani, fu sostituita da una copia nel 1964 e quindi musealizzata.
Interessante il confronto con la statua di analogo soggetto realizzata da Raffaello da Montelupo nel 1544 per la sommità di Castel Sant'Angelo a Roma, che costituisce un precedente iconografico di indubbio riferimento per la scultura orvietana.
 

Ambito veneto 

Madonna col Bambino e San Giovannino
XVI secolo
olio su tavola; 48 x 39 cm
cornice a edicola in legno intagliato dorato
restauri: ICR - Costanza Mora, 1986-2007

La tavola devozionale ripropone un tradizionale schema iconografico sul modello delle più apprezzate composizioni innovate e perfezionate da Giovanni Bellini e mutuate dai suoi continuatori.

Santi di Tito (attr.)

(Borgo San Sepolcro 1536 - Firenze 1603)
San Girolamo nel deserto
olio su tavola; 60 x 45 cm
restauri: Ditta Giartosio, 2003, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

L'opera presenta l'iconografia tipica del san Girolamo penitente, genuflesso davanti al Crocifisso e recante nella mano destra la pietra usata per percuotersi il petto; l'attributo del libro si riferisce alla sua redazione della Vulgata delle Sacre Scritture, sancita come testo latino ufficiale al Concilio di Trento.
L'attribuzione a Santi di Tito tradizionalmente proposta si basa sulle evidenti analogie compositive e stilistiche rilevabili con il dipinto realizzato dall'artista nel 1599 per la chiesa romana di San Giovanni dei Fiorentini.

Jacopo da Bologna (?)

(Bologna 1465 circa - Roma 1516 circa)
Madonna con il Bambino tra San Giovenale e San Savino; Cristo benedicente tra due angeli (nella lunetta); tre storie di San Giovenale (nella predella): Giovenale consacrato vescovo da papa Damaso, Predicazione al popolo di Narni, Suicidio di un pagano che aveva assalito il santo
XV/ XVI secolo
tempera e oro su tavola; 108 x 215 cm la lunetta, 50 x 253 cm la trabeazione, 193 x 185,9 cm la tavola centrale, 45 x 246,5 cm la predella
provenienza: Orvieto, chiesa di San Giovenale, altare maggiore; presso il Museo dal 1882
restauri: Giovanni Mancini, 1965; Cooperativa C.B.C., 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

La pala, precocemente danneggiata nel pannello centrale, proviene dalla chiesa di San Giovenale, in origine dedicata anche a San Savino che figura, infatti, nello scomparto principale al lato della Madonna in corrispondenza all'altro titolare. La diseguale qualità della pittura evidenzia l'intervento di più mani, tra le quali Garzelli -nel catalogo del 1972- identificava quella di Antonio da Viterbo detto il Pastura, nella figurazione della lunetta, e di Giovan Francesco d'Avanzarano, in quella della predella - artisti entrambi presenti a Orvieto presso il cantiere della cattedrale nel corso dell'ultimo decennio del XV secolo. Più interessante è il rimando all'ambito di Jacopo da Bologna, documentato anch'egli in duomo tra il 1485 e il 1495, introdotto dagli studi più recenti, alcuni dei quali ne fanno coincidere l'incerta e ancora confusa vicenda artistica con quella di Jacopo Ripanda, omonimo e conterraneo pittore di formazione umbro-pintoricchiesca e di cultura antiquaria, intagliatore del legno e acuto disegnatore, cui si legano numerose imprese decorative nella Roma di Alessandro VI e Giulio II.

Luca Signorelli (?)

(Cortona, circa 1445-1523)
Ritratto di Luca Signorelli e del camerlengo Niccolò d'Agnolo Franchi
1503 (?)
tempera su terracotta; 32 x 40 cm
Iscrizioni: LVCA, NICOLAVS (sul recto); LVCAS SIGNORELLVS. NATIONE YTALYS (!) . PATRIA C[ORTO]/NENSIS. ARTE [PICTO]R EXIMIVS. MERITO APELLI CONPA/RANDUS SUB REGIMINE ET STIPENDIO NICOLAI FRA[N]CHI / EIUSDEM NATIONIS PAT(RIE URBEVE)TANE. CAMERARII / FABRIC[E] HUIUS BASYLICE . SACELLUM HOC VIRGINI DI/CATUM IV[D]ICII FINALIS ORDINE FIGURATUM PERSPICVE P[I]/NSIT [C]VPIDVSQUE IMMORTALITATIS VTRIVSQUE EFFIGIEM / A TERGO LITTERARVM HARVM NATURALITER MIRA EFFINSIT / ARTE. ALEXANDRO VI. PON. M[AX]. SEDENTE. ET MA[XI]MIANO. IIII. INPERAN[TE] ANNO SALUTIS. M / CCCCC. TER[T]IO KALENDAS IANVARIAS. (sul verso)
restauri: Cooperativa C.B.C., 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Il dipinto ritrae, identificati da un'iscrizione in basso, il pittore Luca Signorelli - autore degli affreschi nella cappella di San Brizio realizzati tra 1499 e 1504 - e il camerlengo Niccolò d'Agnolo, in carica durante l'esecuzione della celebre impresa. Esso celebra pertanto i due ‘protagonisti' della decorazione della cappella orvietana. Dalla sua comparsa nella letteratura ottocentesca, l'autografia signorelliana dell'opera non è stata mai messa in discussione, fin quando, in occasione della mostra fiorentina dedicata al pittore nel 1953, Roberto Longhi sostenne trattarsi di un falso ottocentesco. L'autorevole intervento ha dato il via a un vivace dibattito, ancora oggi aperto. Il doppio ritratto presenta infatti una serie di elementi, a cominciare dal soggetto e dal formato , che destano perplessità. Allo stesso tempo, la qualità e il ductus della stesura pittorica sembrerebbero coerenti con una datazione antica. Recenti indagini scientifiche hanno stabilito la compatibilità con una datazione al primo Cinquecento della lastra in terracotta di supporto. Sia per alcune caratteristiche paleografiche che testuali, dovrebbe comunque essere posteriore alle figure l'epigrafe dipinta sul tergo, la cui realizzazione capovolta rispetto al recto potrebbe essere dovuta alle modalità di esposizione su una struttura rotante lungo l'asse latitudinale.

 

Antonio da Viterbo detto il Pastura (attr.)

(Viterbo, ca. 1450 - ante 1516)
Madonna in trono con il Bambino
fine del XV secolo
tempera su tavola; cm. 60x35
cornice e tabernacolo in legno intagliato, dipinto e dorato
restauri: per il dipinto, ICR - Arabella Bertelli De Angelis, 2007;
per la cornice, ICR - Paolo Scarpitti, 2007

Il dipinto è racchiuso in una raffinata cornice in legno intagliato, dorato e policromato riferibile ad area veneto-adriatica e inserito in un tabernacolo recante sul bordo inferiore una lacunosa iscrizione dove è menzionato il nome di Baldassarre Leonardelli, camerlengo dell'Opera del Duomo, e della moglie Felice. Dal testamento del Leonardelli si sa che egli fece edificare in duomo, intorno al 1484, una cappella dedicata a tutti i santi e ai defunti addossata al fianco destro del transetto, tra la cancellata trecentesca e la cappella Nova. E' l'iscrizione del tabernacolo l'unico legame che collega il nome del nobile orvietano a questo oggetto composito e problematico, costituito da un assemblaggio storicizzato di tre elementi che formalmente non presentano attinenze documentate o stilisticamente congruenti. Il dipinto è tradizionalmente attribuito al Pastura, attivo presso il cantiere della cattedrale dal 1489, ma la tavola, considerata la struttura e la profondità della cornice, potrebbe aver sostituito una precedente immagine più probabilmente eseguita a rilievo. Del resto, il recente restauro ha rivelato che la splendida cornice ornata sui pinnacoli da piccole sculture a tutto tondo raffiguranti Cristo risorto affiancato da mezze figurette recanti simboli della passione, costituisce lo scomparto centrale di un articolato polittico non altrimenti documentato e purtroppo nelle altri parti perduto.

Amilcare Galeotti

(Orvieto, 1832 - post 1898)
Ritratto di Andreino Galeotti Ritratto di Andreino Galeotti
fine secolo XIX
olio su tela; 56 x 44 cm
donato il 14 maggio 1912 da Andrea ed Edmondo Galeotti e Ida Travaglini
restauri: Francesco Lanzetta, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Il dipinto fu donato assieme all'Autoritratto del pittore. Il padre Andreino (Cortona 1800 ca- Orvieto post 1885) fu architetto di formazione neo-classica e, stabilitosi a Orvieto, lavorò in città al progetto di palazzo Mazzocchi, della chiesa di Sant'Angelo e, inoltre, del palazzo comunale di Bolsena.

 

Amilcare Galeotti

(Orvieto, 1832 - post 1898) 66
Ritratto di Andreino Galeotti Autoritratto
datato sul retro1898
olio su tela; 56 x 44 cm
donato il 14 maggio 1912 da Andrea ed Edmondo Galeotti e Ida Travaglini
restauri: Francesco Lanzetta, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Il dipinto giunse all'Opera per dono dei discendenti dell'artista. Questi, figlio del pittore e architetto cortonese Andreino, partecipò col padre all'impresa decorativa del teatro Mancinelli, che si dipanò tra 1863 e 1866 sotto la guida del perugino Annibale Angelini (1810-1884) e del romano, di origini orvietane, Cesare Fracassini (1838-1868).

 

Santo Varni 

(Genova 1807-1885)
Filippo Antonio Gualterio
1874, post/ 1885 ante
marmo; altezza 70 cm
donato nel 1908 da Enrico Gualterio

L'opera ritrae il marchese Filippo Antonio Gualterio (1819-1874), patrizio orvietano ed illustre uomo politico nell'Italia risorgimentale e neo-unitaria: già impegnato nell'ambito del movimento riformatore neo-guelfo e giobertiano, venne eletto deputato nel 1860, successivamente fu prefetto di Perugia, di Genova, di Palermo e di Napoli, e, già senatore dal 1861, fu chiamato al governo nel 1867 come Ministro dell'Interno ed infine ebbe come ultimo incarico quello di Ministro del Real Casa. Tra i suoi interessi furono anche gli studi storici, alcuni dei quali dedicati alla storia orvietana.
Il busto fu donato al Museo nel 1908 dal figlio del marchese, l'Ammiraglio Enrico Gualterio, ed è opera matura di Santo Varni, personaggio di riferimento nel panorama artistico ligure dell'Ottocento in cui raggiunse grande fama come scultore ufficiale dei Savoia. Risalta nel suo catalogo, in particolare, la realizzazione nel 1849 del Catafalco Galleggiante per il trasporto della salma del re Carlo Alberto -dalla nave proveniente dal Portogallo, fino al Ponte Reale-; dei busti di Maria Adelaide, Maria Clotilde, Maria Pia, Maria Teresa, Vittorio Emanuele II e Umberto I; della statua, infine, del Duca Emanuele Filiberto, commissionata da Vittorio Emanuele II.
Di formazione accademica, Varni seppe adattare ai nuovi soggetti storico-celebrativi e politici la tradizionale iconografia neoclassico-purista, valorizzando i ritratti con riflessioni intimistiche e sentimentali, di matrice ancora romantica.

Giovanni Duprè

(1817-1882)
Lodovico Gualterio
1779-1852
1853 (data e firma)
marmo; altezza 56 cm
iscrizioni: documentaria -sul fronte, nel basamento: 1779 LODOVICO GUALTERIO 1852;
commemorativa -sulla faccia posteriore: CATTOLICO SENZA IPOCRISIA/ CARITATEVOLE SENZA IATTANZA/ AMO' LA PATRIA SENZA AMBIZIONE;
documentaria -sulla faccia posteriore, nel basamento: G. DUPRE'. F.A. 1853
Restauri: Ditta Maura Borelli Giacobbe, 2006

Donata dalla famiglia Gualterio all'Opera del Duomo nel 1908, raffigura il marchese Lodovico seduto con naturalezza in un atteggiamento di pensierosa riflessione. Lodovico Gualterio fu padre di Filippo Antonio, senatore e Ministro del regno neo-unitario nonché, con probabilità, committente di questo ritratto al Duprè, che personalmente conobbe e frequentò.
L'opera, datata e firmata dall'autore, esplicita, oltre a spunti formali e compositivi derivati da Lorenzo Bartolini, l'adesione dell'artista all'estetica purista all'esito dei contatti avuti a Roma, tra il 1844 e il 1845, con Tommaso Minardi e Pietro Tenerani. In questa fase si colloca anche l'avvicinamento del Duprè all'ambiente politico liberal-moderato e neo-guelfo, cui apparteneva anche il giobertiano Gualterio.

Agostino Cornacchini 69

(Pescia, 1686 - Roma, 1740)
Angelo custode
circa 1722
terracotta; altezza 36 cm
donato nel 1881 dal canonico Girolamo Saracinelli
restauri: Giovanni Manuali, 2007

Al pari dell'altro bozzetto (n. 70) eseguito dal Cornacchini, anche questo si presenta mutilo in alcune parti, ma il restauro ha restituito la bella figura nella morbidezza del modellato accuratissimo, accentuata dall'eccezionale plasticità del materiale. Su tale modello l'artista realizzò la scultura marmorea, collocata, insieme e simmetricamente a quella del San Michele Arcangelo, nella cappella del Corporale in cattedrale. La statua, in una iconografia che ricalca quella dell'arcangelo Raffaele che accompagna Tobia, risulta commissionata nel dicembre 1722 assieme all'altra, ma venne compiuta circa due anni più tardi, risultando infatti terminata nel novembre 1729.
Il tema dell'angelo custode incontrò una certa fortuna a partire dal tardo Cinquecento e spesso, come conferma anche il caso orvietano, esso ebbe non di rado come pendant un arcangelo Michele.

Agostino Cornacchini 70

(Pescia, 1686 - Roma, 1740)
San Michele Arcangelo
circa 1722
colofonia (pece greca); altezza 54 cm
restauri: Giovanni Manuali, 2007

Questo raffinato bozzetto, già danneggiato in più parti e mancante parzialmente delle braccia, è stato recentemente recuperato nel suo aspetto generale e nel bel modellato da cui deriva, appunto, la statua marmorea collocata nella cappella del Corporale. L'immagine illustra un passo dell'Apocalisse, che descrive l'arcangelo in lotta con il demonio.
La statua, insieme alla corrispondente figura dell'Angelo custode, fu commissionata nel dicembre 1722 e risultava terminata nell'agosto 1727. La sua esecuzione cade pertanto in un momento di intensa attività dello scultore in alcune tra le più importanti chiese romane, in particolare San Pietro.

Bernardino Cametti

(1669-1736) 71
  San Giacomo minore
circa 1715
gesso modellato; altezza 75 cm
restauri: Francesco Lanzetta, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Il modello in gesso, purtroppo irrecuperabile nel volto e mancante dell'avambraccio destro e della mano, servì per la statua marmorea che il Cametti eseguì tra 1714 e 1722 per la serie dell'apostolato nella navata della cattedrale orvietana. È possibile che esso sia stato preceduto da una prima versione, forse di dimensioni minori, ricordata nel contratto per la statua del giugno 1714.
La figura presenta notevoli affinità con il San Giacomo maggiore che Camillo Rusconi (1658-1728) eseguì nel 1715 per San Giovanni in Laterano: non è chiaro se tale rispondenza sia da addebitare alla dipendenza dallo stesso modello, l'Apollo del Belvedere, oppure se esista una dipendenza tra i due.

 

Bernardino Cametti

(1669-1736) 72
San Simone San Simone
circa 1715
gesso modellato; altezza 80 cm
restauri: Francesco Lanzetta, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Al pari del San Giacomo minore (n.71), anche questo gesso servì da modello per la grande statua marmorea eseguita per la navata maggiore della cattedrale. Anch'essa fu probabilmente preceduta da una prima versione del bozzetto, ricordata nel contratto del giugno 1714.

 

Vincenzo Pacetti (?) 73

(Roma, 1746-1820)
Ermafrodito
post 1781
cera caricata con polvere di terracotta, gesso; lunghezza 42 cm
restauri: Ditta Maura Borelli Giacobbe, 2006

La piccola scultura dell'Ermafrodito riproduce, nelle morbide forme di un lucido impasto ceroso, la statua romana del I secolo d.C. - già copia di un originale greco scolpito da Polykles nel II secolo a.C. - tornata alla luce nel 1781 nella cava di Monte Compatri, nel feudo Borghese. La statua, restaurata nello stesso anno da Vincenzo Pacetti, entrò a far parte della collezione Borghese in sostituzione del più famoso esemplare greco - già appartenuto al cardinale Scipione che per esso aveva fatto scolpire da Bernini un basamento a foggia di giaciglio trapunto - oggi al Louvre.
Lo stesso Pacetti, figura di straordinaria importanza nella Roma del "grand tour" come scultore, restauratore e antiquario in relazione con il mondo internazionale del collezionismo di antichità, collaborò a Orvieto, su mandato del cardinale Braschi e sotto la direzione dell'architetto camerale Giuseppe Valadier, ai restauri della facciata del duomo, gravemente danneggiata dai fulmini nel 1795 e curò il rifacimento di cinque statue andate distrutte.
Il "modelletto" dell'Ermafrodito è documentato nell'inventario della Sacrestia della cattedrale del 1833, menzionato nella Guida di Orvieto di Francesco Pennacchi del 1873 tra gli oggetti d'arte esposti all'interno della "Casa dell'Opera" e successivamente presente come incognito nei cataloghi dell'istituito Museo.
In mancanza di riferimenti documentari esatti che attestino la reale paternità dell'opera, l'alta qualità del modellato e l'esperta adesione al modello antico denotano quella profonda comprensione e consuetudine rispetto ai valori formali ed espressivi del linguaggio classico che certo furono proprie del Pacetti e della sua attivissima bottega, la cui produzione di bozzetti e "souvenir" di antichità è, peraltro, nota e documentata.

Cesare Fracassini

(1838 -1868) 74
Belisario libera la città di Orvieto dall'assedio dei Goti
1864
olio su tela; 44 × 51 cm
bozzetto per il sipario del Teatro Mancinelli di Orvieto
provenienza: Orvieto, Teatro Mancinelli
restauri: Ditta Maura Borelli Giacobbe, 2006

L'affollata e dinamica scena bellica, che descrive l'episodio storico del 535 d.C. narrato da Procopio di Cesarea nel De bello gothico, si svolge sullo sfondo sfumato della rupe orvietana, accesa dai bagliori materici e dai forti contrasti dei tocchi di colore e di luce liberati da una tecnica veloce ed espressiva, di chiara ascendenza verista.
Il pittore di origine orvietana ma di formazione accademica romana, allievo di Tommaso Minardi e a quest'epoca affermato artista della Capitale, aveva ricevuto incarico, nel 1863, dal "Consorzio Teatrale" orvietano "per le pitture istoriche" del teatro e "per il telone".
Il bozzetto per il sipario fu presentato nel marzo 1864 e illustrava un soggetto proposto all'artista dall'amico, nonché presidente del sodalizio, il conte Tommaso Piccolomini.
Lo stesso Consorzio ne fece poi dono al Museo dell'Opera nel 1887.

 

Giacomo Pierucci (attr.)

(attivo a Orvieto nel secondo quarto del XVII secolo)
Presentazione di Maria al Tempio Presentazione di Maria al Tempio
secondo quarto del XVII secolo (?)
olio su tela; 64 x 42 cm
restauri: ICR - Carla Zaccheo (docente) e Ilaria Scacchetti (allieva), 1997

Il piccolo dipinto, campito entro un cono di luce che risparmia in alto i due spazi laterali e reca una linea bianca per la misurazione lungo il bordo superiore, è il bozzetto per il mosaico del timpano destro della facciata del duomo. Secondo Fumi sarebbe stato autore dell'intervento Giacomo Pierucci, che completò, intorno al 1648, il quadro dello Sposalizio della Vergine, lasciato interrotto da Gabriele Mercanti, ed eseguì quello sottostante dell'Annunciazione, tra il 1649 e il 1650. La Presentazione venne a sostituire un precedente mosaico con lo stesso soggetto che l'orvietano Pietro di Puccio aveva portato a termine, firmandolo, nel giugno 1376. 

Ambito veneto-adriatico

Madre di Dio Odighitria Madre di Dio "Odighitria"
XVIII secolo
tempera e oro su tavola; 78 x 65 cm
provenienza: Orvieto, Ospedale
restauri: ICR - Costanza Mora, Beatrice Provinciali, 1986-2007

Immagine di derivazione bizantina, già ritenuta copia tarda e ripetitiva dell'icona trasferita da papa Gregorio IX, nel 1235, dal Laterano a Santa Maria del Popolo a Roma.
L'iconografia ripropone il tradizionale soggetto della Theotokos Odighitria raffigurante la Madre di Dio che sorregge il Bambino e con la destra lo mostra ai fedeli come via per la salvezza. Lo schema frontale e ieratico delle figure risulta semplificato nella resa delle vesti della Madonna e dell'himation regale del Bambino che reca in mano il rotolo della Legge. Il recente restauro ha restituito notevole leggibilità alla figurazione e al fondo oro dove spiccano i nimbi impreziositi da motivi impressi.

 

Ambito veneto-adriatico

Madre di Dio Odighitria Madre di Dio "Odighitria"
XVII/ XVIII secolo
tempera e oro su tavola; 72 x 60 cm
restauri: ICR - Costanza Mora, Beatrice Provinciali, 1986-2007

Tradizionale iconografia per questa Theotokos Odighitria, la "Madre di Dio che mostra la via" indicando con la destra il Salvatore. Insieme alla precedente (n.76) è ritenuta icona di derivazione bizantina che ripete e semplifica, nei valori formali, modelli più antichi e di varia provenienza. Analogo anche lo schema compositivo, mentre l'inserimento delle figure dei due angeli che incoronano la Madonna risulta elemento innovativo e tardo. 

Pittore dell'Italia centrale

Madonna del Carmelo Madonna del Carmelo
XVII secolo
tempera e oro su rame; 23,5 x 18,5 cm
provenienza: Orvieto, confraternita del Carmine
restauri: Francesco Lanzetta, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Nel soggetto, tradizionale e veneratissimo, il dipinto ne ripropone la più antica versione nota, quella della Madonna Bruna del santuario del Carmine Maggiore di Napoli, icona trecentesca che raffigura la Madre di Dio Glykophilousa in tenero atteggiamento con il Figlio.
Si nota, però, una decodificazione in senso popolare dello schema iconografico di derivazione bizantina i cui moduli formali risultano svuotati della loro valenza originale e utilizzati con chiaro intento arcaicizzante e devoto. La figura dilatata e ingigantita della Madonna, di cui è esaltata la componente umana e affettiva, e l'"attualizzazione" realistica di quella del Bambino sono chiaro sintomo di un travisamento degli elementi fondamentali e dogmatici delle antiche icone; anche la riduzione dello sfondo dorato denuncia un'incomprensione, o un disinteresse, per quel sistema simbolico e concettuale che, nel modello, regolava il rapporto figura-fondo.

 

Ambito veneto-cretese 

Cristo crocifisso tra i dolenti Cristo tra i dolenti

fine del XVI secolo
olio su tavola; 34,5 x 29,5 cm
restauri: Francesco Lanzetta, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

La piccola tavola devozionale viene generalmente riferita a quel filone "veneto-cretese" che identifica una vasta produzione artistica tardo e post-bizantina presente in Italia particolarmente nell'area adriatica. Nell'ambito di tale formula, che registra il perdurare della tradizione artistica orientale, il modello antico risulta di volta in volta contaminato da nuovi apporti culturali che, nella seconda metà del XVI secolo, provengono in particolare dalle opere di Tiziano e della sua scuola.

 

Ludovico Mazzanti

(Roma 1686 - Viterbo 1775)
Assunzione della Vergine Assunzione della Vergine
terminato nel 1714
olio su tela; 475 x 260 cm
provenienza: Orvieto, duomo, cappella Clementini
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Fu Girolamo Curzio Clementini, autore di un'antica descrizione del duomo, a commissionare al maestro orvietano il dipinto per la cappella di famiglia che si trovava sulla controfacciata del duomo, a sinistra del portale centrale. L'altare, fondato negli anni settanta del Cinquecento, in corrispondenza con l'altra cappella gentilizia, quella dei Monaldeschi, posta sul lato opposto, venne demolito nel 1879, insieme al complesso delle cappelle laterali, nell'ambito dei restauri della cattedrale; il dipinto entrò, così, a far parte del museo dando testimonianza della cultura marattesca del secondo barocco romano di cui il Mazzanti fu interprete dignitoso.

 

Ludovico Mazzanti (attr.)

(Orvieto 1686 - Viterbo 1775)
Ritratto del conte Girolamo Curzio Clementini Ritratto del conte Girolamo Curzio Clementini
intorno al 1716
olio su tela; 74 x 63 cm
iscrizioni: COMES HIERONYMUS CURTIUS DE CLEMENTINIS GLORIOSAM PREDE/ CESSORUM MEMORIAM FILIIS TRADIT AN/ MDCCIII
OBIIT DIE XII/ APR. 1716
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007

Nato ad Amelia nel 1658, Girolamo Curzio Clementini si trasferì intorno al 1680 a Orvieto, dove fin dal Quattrocento risiedeva un altro ramo della famiglia. Più volte soprastante della fabbrica del duomo orvietano, ne scrisse anche una dettagliata descrizione. La data del 1716 riportata nell'iscrizione fa riferimento all'anno della sua morte, alla quale può essere approssimata la realizzazione del ritratto. Quanto all'ipotesi attributiva, oltre agli elementi stilistici, sono a favore di Ludovico Mazzanti i rapporti intercorsi con il Clementini in occasione dell'esecuzione della pala d'altare (qui al n.80) per la cappella famigliare.

 

Pietro Paolo Sensini (?)

(Todi 1555 circa - notizie fino al 1632) 82
Madonna con Bambino tra San Pio V e San Pietro martire Madonna con Bambino tra San Pio V e San Pietro martire
ultimo ventennio del XVI secolo
tempera su tavola; 170 x 123 cm
restauri: Francesco Lanzetta, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Il dipinto, nella semplicità della rappresentazione e nella fedeltà ai modelli tardo-rinascimentali confacenti ai canoni controriformistici, può essere avvicinato ad alcune opere iniziali dell'artista tuderte -tra le quali anche la pala d'altare nella chiesa orvietana di San Giovenale, a lui attribuita- che gli valsero il consenso di una vasta committenza ecclesiastica locale.
Il soggetto suggerisce una provenienza dall'ambito domenicano cittadino, mentre cronologicamente rilevante è la presenza di san Pio V, morto in odore di santità nel 1572 e presto oggetto di venerazione tanto che nel 1588 papa Sisto V ne traslò il corpo nel monumentale sepolcro fatto realizzare nella basilica romana di Santa Maria Maggiore.
All'esito del recente restauro, i saggi effettuati portano a escludere -diversamente da quanto supposto da Garzelli (1972)- sia la presenza di un precedente sottostante dipinto, sia la resecatura del supporto, giacchè la preparazione del dipinto non giunge a lambirne i bordi.

 

Bottega di Benedetto Buglioni

Figura di angelo genuflesso
inizi del secolo XVI
terracotta invetriata; circa 120 x 90 cm
provenienza: Orvieto, convento del Buon Gesù
acquisto 1903
restauri: restauratore di primo Novecento; ICR - Elisabeth Huber, 2007

La terracotta proviene da una parete del portico del convento del Gesù, sua collocazione non originaria, poiché, come evidenzia la curvatura del margine destro, esso doveva costituire il lunettone posto al di sopra di un portale o di una pala d'altare. Se l'attributo del giglio suggerirebbe un'identificazione con un Angelo annunziante, la curvatura ogivale sulla sinistra e le dimensioni originali della lunetta, farebbero pensare a una composizione con un angelo simmetrico dalla parte opposta e una figura centrale in mandorla, possibilmente un Cristo o un Dio padre nell'atto di benedire. La porzione inferiore del corpo fu verosimilmente realizzata dopo l'ingresso nelle collezioni del museo.

 

Orafo parigino

Calice con patena
1887
Argento dorato e cesellato, filigrana e smalti;
il calice: altezza 26,5 cm; Ø base 17 cm; Ø coppa 10,7 cm
la patena: Ø 15,5 cm
donato da papa Leone XIII all'Opera nel 1891, in occasione del sesto centenario della fondazione della cattedrale orvietana
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Come documentato dall'iscrizione in latino sulla base, il calice e la patena furono donati dal clero di Orléans a papa Leone XIII nel 1887, in occasione del cinquantenario dell'ordinazione sacerdotale del pontefice. Sull'orlo della coppa sono incisi il punzone parigino per l'argento in uso dal 1838 e quello dell'orafo, finora non identificato. Sia gli smalti di gusto troubadour che l'uso della filigrana riflettono il profondo rinnovamento apportato all'oreficeria d'oltralpe da Placide Poussielgue-Rusand ispirandosi a esempi medievali.

 

Manifattura romana

Calice
1831 - 1841
argento fuso, dorato e cesellato; altezza 29 cm; Ø base 13,5 cm; Ø coppa 9,2 cm
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Nei tre medaglioni sulla base stanno le immagini delle tre virtù teologali, le quali sono una ripresa fedele dalla predella della Pala Baglioni di Raffaello. Nei tre medaglioni sulla coppa sono invece raffigurate tre storie della Passione di Cristo. Sotto al piede è raffigurato lo stemma di papa Gregorio XVI (1831-1846), che donò il calice completo di patena nel 1841. Sull'orlo sono riportati sia il bollo camerale, quello in uso tra 1815 e 1870, sia il marchio dell'argentiere, non identificabile.

 

Orefice romano

Calice e patena
1761 - 1769
argento dorato, sbalzato e cesellato; altezza 29 cm; Ø base 15 cm; Ø coppa 9,5 cm
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Sotto il piede del calice è raffigurato lo stemma della famiglia Ripanti: ciò consente di identificare il donatore in Antonio Ripanti, vescovo di Orvieto dal 1762 al 1780. Sull'orlo della coppa compaiono sia il bollo camerale che il punzone dell'orafo. Mentre il secondo risulta indecifrabile, il primo - con il padiglione e le chiavi papali entro un ovale - è del tipo che entrò in uso dal 1744. Tuttavia il bollo qui utilizzato trova le maggiori affinità con quelli del periodo 1761-1769. L'iconografia allude al sacrificio redentore di Cristo.

 

Orafo dell'Italia centrale

Cofanetto
circa 1926
argento sbalzato, cesellato, inciso
iscrizioni: CIVI. PRAECLARISSIMO/ CARD. BONAVENTURAE. CERRETTI/ CURATORES. MUNICIPII. URBEVETANI/ EPISCOPUS. CLERUS/ POPULUS. UNIVERSUS/ ANN. MCMXXVI
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Di gusto neo-rinascimentale, arricchito da elaborati elementi a sbalzo distribuiti secondo un'articolata tettonica di specchiature includenti, nel coperchio, gli stemmi comunale e cardinalizio, il prezioso cofanetto fu donato dalla comunità civile e religiosa di Orvieto a Bonaventura Cerretti (1872-1933) in occasione della sua elezione a cardinale da parte di papa Pio XI il 14 dicembre 1925. Il prelato orvietano ne fece in seguito dono al museo della sua città natale

 

Orafo parigino 

Turibolo architettonico
1574-1575
argento sbalzato, traforato, dorato e smalti; altezza 27,5 cm; Ø alla base 10,4 cm
nella raccolta dell'Opera dal 1867
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2006

Lo stato di conservazione è soddisfacente, nonostante la caduta di parte degli smalti. Opera di artista francese, è uno dei più alti esempi di oreficeria transalpina del Cinquecento, da confrontare con l'incensiere donato dal re Enrico III all'Ordine di Santo Spirito, oggi conservato al Louvre e realizzato nel 1579-1580. Il punzone dell'orafo nei due oggetti è identico e potrebbe essere associato a due orafi, Jean Jammes e Jean Joly. Sotto al piede compare lo stemma di un vescovo della famiglia orvietana Gualterio, della quale vari rappresentanti ricoprirono la carica di nunzio apostolico in Francia.

Custodia di turibolo 

XVI secolo
cuoio impresso in oro; altezza 39 cm
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Astuccio rivestito e foderato in velluto rosso, riproduce la forma del prezioso turibolo (n.88) che era destinato a contenere. Reca all'apice lo stemma vescovile Gualterio.

 

Orafo dell'Italia centrale

Pace architettonica
XVI secolo
rame sbalzato, inciso, dorato
iscrizioni: (trabeazione) ECCE AGNUS DEI; (lunetta) QUI TOLLIT PECCATA MUNDI
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Strumento liturgico utilizzato per lo scambio della "pace" prima della Comunione, atto mutuato dalla tradizione ebraica e adottato dai primi Cristiani come segno di fraternità e di riconciliazione. L'uso, e dunque la produzione, di questo oggetto si diffonde in Italia tra il XV e il XVI secolo, per decadere nel corso del Settecento. Questo esemplare presenta la caratteristica la tipologia architettonica riproducente la struttura della pala d'altare, e include la raffigurazione, altrettanto tipica, di un soggetto tratto dal tema della Passione, in questo caso una Deposizione di Cristo tra i dolenti, inserita nella placca figurata, e un Cristo risorto nel frontone centinato, a coronamento del quale rimane un frammentario busto; sul retro, una piccola maniglia a voluta funge da impugnatura o da appoggio.

 

Manifattura fiorentina

Coppia di ampolline
fine XVI - inizio XVII secolo
bronzo fuso e dorato, metallo argentato e vetro; altezza 13 cm; Ø base 4,2 cm
documentata nelle collezioni dell'Opera almeno dal 1880
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

L'ampollina per il vino, riconoscibile per una ‘V' incisa all'interno del beccuccio, ha perso il manico. Quella per l'acqua ha gli ornati laterali molto consunti. La diffusione in area toscana e alcune fonti hanno portato a individuare in Firenze il centro di produzione di questo tipo di manufatti, documentato nella chiesa di San Domenico a Prato con un esemplare di analoga fattura. Non è noto in quale occasione la raffinata coppia di oggetti arrivò a Orvieto.

 

Lorenzo de Marchis 

(doc. 1604-1629)
Lampada pensile
primo quarto del XVII secolo
argento sbalzato; altezza 27 cm
provenienza: Orvieto, duomo, cappella dei Raccomandati
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

La lampada, di buona fattura, era fortemente ossidata e i trafori presentavano vari guasti e tracce di antichi, grossolani restauri. Il recente intervento ha sanato tale situazione e reintegrato alcuni frammenti distaccatisi. All'interno dell'appiccagnolo si trovano due punzoni, il bollo camerale e quello dell'argentiere Lorenzo de Marchis: una lupa in atto di allattare. L'attività del de Marchis è documentata dal 1604 al 1629, anno della morte.

 

Ebanista orvietano (?)

Bussolotto per votazioni
XVIII/XIX secolo
legno intagliato, dipinto, parzialmente dorato
restauri: Roberto Saccuman, 2007

Elaborata struttura composta da un raccoglitore cilindrico e da un contenitore con due manici dotato di due cassetti contrassegnati dalla scritta "SI" e "NO" nella parte inferiore e fornito di una larga imboccatura per l'immissione dei voti (fave bianche e nere) suddivisa all'interno da una paratia. Usato per la raccolta dei voti dell'antica Fabbriceria orvietana - presenti infatti lo stemma comunale e quello vescovile - questo contenitore propone una tipologia documentata nella vita municipale, di enti o confraternite, fin dalla prima metà del XVI secolo.

 

Ebanista orvietano (?)

Cassetta
seconda metà del XVI secolo (?)
legno intagliato dipinto; 18 x 63 x 38,5 cm
restauri: Roberto Saccuman, 2007

La cassetta poggia su quattro piedi a zampa leonina. Al centro del lato frontale campeggia lo stemma dell'Opera del Duomo con le lettere OPSM (Opera Pia Sancte Marie) scandite nei quadranti della croce greca; esso è ripetuto anche sul coperchio. La presenza nell'interno di un ripiano estraibile diviso a scomparti lascia supporre che fosse usato nella cancelleria dell'Opera.

 

Arte dell'Italia centrale 

Cofanetto
Ultimo quarto del XIV secolo
legno e gesso dipinti e parzialmente dorati, ottone; 22 x 42 x 16,5 cm
provenienza: Orvieto, duomo
restituita al Museo dell'Opera nel 1880 dal vescovo Antonio Briganti

Il cofanetto presenta delle lacune. È persa su tre lati la base modanata. Qualche figuretta a rilievo è danneggiata e uno dei cavalieri è pressoché completamente perduto. Sia le cerniere che la serratura sono posteriori, il coperchio infatti doveva in origine semplicemente appoggiarsi sulla cassa. Potrebbe corrispondere a un dono fatto alla Fabbriceria nel 1441. Le scene di soggetto profano cortese, per le quali risulta difficoltosa una lettura iconografica unitaria, suggeriscono un uso originario non religioso. Fu impiegato nel tesoro della cattedrale come contenitore di reliquie.

 

Manifattura dell'Italia del nord (Venezia o Ferrara?)

Cofanetto con scene mitologiche
prima metà del XVI secolo
legno intagliato, dorato e pastiglia bianca; 7 x 12,5 x 8,5 cm
acquistato nel 1907 da Ferdinando Bonoso

Questo tipo di oggetti conobbe grande diffusione come testimoniato implicitamente dalla loro qualità ‘industriale'. Sulla fronte sono raffigurati la Caduta di Icaro e Apollo e Dafne; sul lato sinistro Due donne seguite da due satiri; sul lato destro Un elefante con due guerrieri che si combattono; sul retro Orfeo che incanta gli animali.
Il cofanetto in origine ebbe certamente una funzione profana.

 

Manifattura delle Alpi nord-occidentali 

Astuccio
XVIII secolo
legno di noce intagliato a coltello; 12 x 12 x 4 cm
restauri: Roberto Saccuman, 2007

Il piccolo astuccio ligneo decorato con motivi geometrici tra i più tipici dell'artigianato alpino, è dotato di uno sportello a scorrimento fornito di una presa piramidale. L'interno è suddiviso in due separati ricettacoli. Potrebbe trattarsi di un oggetto comune, nato per un uso profano e riutilizzato in ambito sacro, come contenitore di reliquie o di fiale con oli santi.

 

Manifattura medio-orientale 

Ampolla a eulogia
XII-XIII secolo
avorio intagliato e inciso; altezza 9 cm
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Il piccolo vasetto piriforme è dotato di coperchio, forse originariamente incernierato con un giunto in cuoio, e di due passanti anulari disposti ai lati dell'imboccatura per la legatura di pelle. Era probabilmente destinato a uso di reliquiario improprio per la conservazione di materiali diversi raccolti nei luoghi di pellegrinaggio, quali polvere, sabbia o granelli della Terra Santa, oli che bruciavano sui sepolcri dei martiri, sostanze trasudate dalle tombe dei santi: a questo genere particolare di "reliquie" la devozione popolare attribuiva poteri miracolosi o apotropaici, come esprime il termine greco euloghia, cioè benedizione.

 

Manifattura spagnola o siculo-araba

Cofanetto
XII-XIII secolo
avorio policromo e ottone; 7,5 x 12 x 8

Il cofanetto, se autentico, potrebbe essere identificato con un dono fatto alla cattedrale nel 1441. Appartiene a un gruppo ampiamente testimoniato di cofanetti detti ‘sicuolo-arabi'. Rispetto a questo gruppo, l'esemplare orvietano mostra però delle incongruenze: le parti metalliche sono probabilmente frutto di un intervento di restauro, intervento che sembra aver riguardato anche i medaglioni dipinti.

 

Ebanista dell'Italia centrale (?)

Cassettina
XIII-XIV secolo
legno intagliato e dipinto; 12 x 27 x 11 cm
provenienza: Orvieto, duomo, cappella dei Raccomandati
restauri: Roberto Saccuman, 2007

La piccola cassa lignea, mancante del coperchio, è decorata sulla fronte da due riquadri simmetrici dove sono raffigurati due animali entro girali di foglie.

 

Orafo umbro

Croce astile
fine del XVI secolo
rame dorato con medaglioni in lamina d'argento sbalzato; 44 x 33,5 cm
presso il Museo dell'Opera dal 1881, dono del vescovo Antonio Briganti
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Su entrambi i lati, oltre ai cinque medaglioni quadrilobati, la croce presenta una sesta placchetta romboidale che interrompe a metà il tratto inferiore del braccio verticale, secondo una tipologia diffusa nelle croci umbre. I soggetti raffigurati svolgono un programma iconografico incentrato sui temi della redenzione e dell'esaltazione dell'ordine domenicano. Sul retro compare uno stemma degli Orsini di Pitigliano. Ai fini dell'individuazione della committenza e della provenienza originale, è utile notare come tre figlie naturali del conte Nicola Orsini (1500-1594) furono suore nel convento domenicano di San Pietro a Orvieto.

 

Manifattura italiana

Campanello d'altare multiplo
XVII secolo
bronzo traforato, argento; altezza 11,5 cm; Ø 11,5 cm
provenienza: Orvieto, duomo, cappella dei Raccomandati
presso il Museo dal 1888
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Contiene al suo interno quattro campanelli sferici in argento con bocca a denti ricurvi, alcuni dei quali sono spezzati. È verosimilmente per la forma caratteristica di questi che, in occasione del deposito nel Museo nel 1888, l'oggetto veniva descritto come "campanello delle nespole". Come quelli singoli, anche i campanelli multipli, detti, con termine francese, carillon o quadrille, venivano utilizzati durante la celebrazione della messa, al momento del Sanctus e dell'Elevazione.

 

Arte renano-mosana (?)

Croce reliquiario (detta "di Bagnoregio")
Secondo quarto del XIII secolo
Argento dorato, sbalzato, filigrana, pietre dure e vetri colorati; h cm. 25; l cm. 17
Donata nel 1891 dal canonico Girolamo Saracinelli
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

La croce ha le estremità trilobate. Il lato anteriore della croce è decorato a filigrana con pietre e vetri colorati, in larga parte probabilmente non originali. All'incrocio dei bracci si apre un alloggiamento, anch'esso cruciforme, che doveva accogliere una reliquia, probabilmente della vera croce. Il retro è liscio e ornato da cinque placchette: all'incrocio dei bracci sta l'agnello mistico e nelle estremità i simboli dei quattro evangelisti, l'aquila (Giovanni), l'angelo (Matteo), il leone (Marco) e il toro (Luca).
Le caratteristiche tecniche della croce rendono complicata l'individuazione della sua area di produzione, oscillante tra la zona renano-mosana e quella veneziana. Sembra da prediligere una datazione vicina alla metà del XIII secolo.

 

Orafo dell'Italia centrale

Croce astile
Metà del XV secolo
Rame dorato e cesellato, argento inciso, smalto traslucido; h cm. 21,7; l cm. 18,5
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

I bracci della croce hanno terminazioni trilobate che nella faccia anteriore ospitano dei tondi in argento incisi che raffigurano la Vergine, San Giovanni Evangelista e un Santo vescovo; è andato perduto il tondo in basso con Santa Maria Maddalena ricordato dai documenti di inizio Novecento. Le tre figure a mezzo busto presentano tracce minime di smalti verdi e blu. Il Cristo crocifisso ricorda ancora modelli trecenteschi. Il manufatto ha elementi comuni ad alcuni oggetti d'oreficeria prodotti nell'alto Lazio.

 

Orafo senese

Calice
Secondo quarto del XV secolo
Rame cesellato, inciso e dorato e smalti traslucidi su argento; h cm. 18,5; Ø base cm. 12,3; Ø coppa cm. 8,3
Iscrizione (sotto al piede): fabio de lotto da bardano santese dela madonna del piano 1587
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2006

La coppa del calice non è originale e deve forse essere messa in relazione con l'iscrizione datata 1587 che compare sotto al piede. Le sei placchette in argento sul nodo erano in origine coperte da smalti traslucidi; esse raffigurano Cristo in pietà tra la Vergine e San Giovanni Evangelista, un Santo con barba e cartiglio, San Pietro e uno stemma della famiglia orvietana dei Benincasa. Lo stile delle placchette suggerisce che il calice sia stato realizzato da un orafo senese.

 

Pittore umbro (?)

Croce astile
ultimo terzo del XVI secolo
olio su tavola; 38,5 x 28 cm
restauri: Francesco Lanzetta, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

La croce con terminazioni a compasso mistilineo è dipinta su entrambe le facce in modo identico. È inusuale l'iconografia con i santi Bernardino e Andrea che compaiono nei capocroce del braccio orizzontale. Lo stile sembra rimandare all'ambiente umbro della fine del Cinquecento.

 

Ebanista dell'Italia centrale

Crocifisso
frammento
XVII secolo
legno di bosso intagliato
restauri: Roberto Saccuman, 2007

Frammento di raffinata esecuzione e di accurata e sensibile resa plastica, raffigura il Cristo crocifisso esemplato nella tipica iconografia del "patiens", prescritta e promossa in epoca post-tridentina. Notevole la qualità del rilievo, incisivo e tornito, la pacata espressività del volto sofferente reclinato tra le ciocche morbide dei capelli e la ricerca anatomica.

 

Arte del Basso Reno

Bacile
XII secolo
metallo sbalzato e inciso; altezza 4,5 cm; Ø 25,8 cm
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2006

Al di sotto del piede di supporto del bacile è inciso lo stemma dell'Opera di Santa Maria. All'interno della coppa sono incise cinque figure di vizi identificate da un'iscrizione. Nel centro sta la Superbia con attorno Ira, Luxuria, Idolatria e Invidia. Verso il margine esterno, riuniti in gruppi di tre, stanno i nomi di altri dodici vizi: Malicia, Inmunditia, Ebrietas / Crapula, Fraus, Emulatio / Contentio, Ambitio, Suspitio / Odium, Peccatum, Dolus.
Già ritenuti manufatto tipico delle città anseatiche (da cui la definizione di Hansaschüssel), questo tipo di bacili sono oggi considerati prodotti di un'area piuttosto ampia della bassa valle del Reno tra XII e XIII secolo. Essi presentano un vasto repertorio iconografico. Numerosi sono quelli con raffigurazioni di virtù e vizi, che spesso venivano utilizzati in coppia, probabilmente in ambienti monastici femminili, per abluzioni rituali.

 

Ambito francescano 

Cristo crocifisso e San Francesco / sul retro, Madonna con Bambino
XVII secolo
olio su rame; 16,5 x 11,5 cm
restauri: Francesco Lanzetta, 2007, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Il piccolo dipinto devozionale, rivolto alla meditazione sul sacrificio di Cristo attraverso la grande espressività nella resa del Crocifisso, reca sul retro un'immagine della Madonna di ascendenza orientale.

 

Manifattura tedesca 

Croce da tavolo
XVI secolo
avorio scolpito, legno intagliato, argento sbalzato e bulinato; altezza 35 cm
donazione Tordi 1933
restauri: Maura Giacobbe Borelli, 2003, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Tradizionale iconografia del Cristo patiens per l'elegante scultura eburnea che nella resa formale dei particolari e dell'espressività fisionomica sembra indicare un artefice di cultura nordica, dal linguaggio originale e raffinato. Ne derivano l'accurata qualità della fattura, la pacata sofferenza del volto reclinato e la ricerca di incisività nella resa anatomica.

Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto

Opera del Duomo di Orvieto - 26, Piazza del Duomo - 05018 Orvieto Tel +39 0763 342477 - Fax: +39 0763 340336
email: info@museomodo.it

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