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Chiesa di Sant'Agostino. Approfondimento
La fondazione della chiesa di S. Agostino in Orvieto è in connessione con un momento di intensi insediamenti urbani dei nuovi ordini mendicanti, quando questi, intorno al 1260, decisero di stabilirsi all'interno della rupe partendo dai primi siti posti nel territorio circostante. E' tuttavia più corretto parlare di complesso di S. Agostino, che comprende due chiese ed un convento: rimanendo nell'ambito dei soli edifici di culto, le intrecciate fasi costruttive di entrambi (l'attuale chiesa di S. Agostino e la struttura adiacente, rimasta incompiuta e oggi adibita a ristorante) testimoniano una vivacità di spunti progettuali, anche ambiziosi, che hanno avuto un forte riflesso sulla storia urbanistica di Orvieto.
Per ricondurre i vari momenti costruttivi ad uno schema di periodizzazioni, è opportuno distinguere varie fasi storiche.
Nel 1255 gli Agostiniani, entrati in città da precedenti siti extra moenia, comprarono dai Premonstratensi dell'abbazia dei Ss. Severo e Martirio la chiesa di S. Lucia, già esistente e posta sull'estremità occidentale del pianoro tufaceo, in stretta vicinanza alla chiesa romanica di S. Giovenale: la data va messa in relazione a quella del 1256 quando, per bolla del papa Alessandro VI, l'ordine degli Eremiti di S. Agostino venne unito a quello dei Guglielmiti la cui sede era appunto l'adiacente S. Giovenale. Probabilmente, l'impostazione tipologica della chiesa di S. Lucia dei Premostratensi era simile proprio a quella della Badia, risalente al secondo quarto del sec. XIII, con tetto a due falde poggiato su archi acuti trasversali (archi diaframma); la testata orientale, cioè la cappella maggiore, presentava un leggero restringimento rispetto alla larghezza della navata, ed era caratterizzata da un'alta bifora, recentemente venuta alla luce. Questa struttura primitiva fu all'inizio usata dagli Agostiniani in via provvisoria, in attesa che fosse pronto un nuovo edificio di grandi dimensioni.
Nel 1264 è documentata la posa della prima pietra della nuova chiesa che, concepita come un organismo di grande dignità architettonica e prestigio per l'ordine, rimase tuttavia incompiuta. Planimetricamente si impostava non perpendicolare alla chiesa di S. Lucia, ma formava con il suo asse un angolo di 102°, cosa che avrebbe impedito un'organica integrazione dei due impianti e che dimostra quindi che, contrariamente a quanto poi accaduto, avrebbe dovuto sostituire totalmente la chiesa primitiva. La larghezza di progetto, riscontrabile dal costruito esistente, era di 18,30 metri, con profonda abside coperta da crociera a costoloni ed aggettante su sostruzioni realizzate proprio sopra il bordo della rupe orvietana: una soluzione che comportava un'immagine di grande efficacia e suggestione, come del resto accade ancor oggi, destinata com'era ad essere ben visibile da lontano, alla pari di tutti i conventi mendicanti della città realizzati sui bordi della rupe, sia per necessità pratica in quanto solo nella periferia del pianoro vi erano ancora spazi disponibili all'edificazione, sia per una precisa visione ideogrammatica della città.
La chiesa era stata concepita o a navata singola (come ad esempio la contemporanea S. Francesco) oppure, ma con minore probabilità, a tre navate, con le laterali larghe quanto la differenza con il filo dello spiccato della cappella maggiore rispetto ai muri longitudinali. La lunghezza totale avrebbe dovuto raggiungere il valore di 48 metri: in pratica, la facciata avrebbe dovuto posizionarsi nel punto dove oggi il lato ovest della piazza forma un angolo, in corrispondenza di un cambiamento di direzione: infatti fino a quel punto l'andamento del lotto è congruente, cioè parallelo, all'asse della chiesa incompiuta. Dimostrazione questa che siamo in presenza di un'ampia operazione urbanistica e di notevoli investimenti fondiari: i fronti delle abitazioni che oggi segnano il confine ovest della piazza dovettero essere infatti rettificati per far posto alla nuova chiesa.
Nell'abside si aprivano tre monofore: quella di fondo con stipiti in conci bianchi e neri; interessante è anche la definizione degli spigoli delle murature, che era prevista con doppia contraffortatura angolare ricoperta di filari bicromi, come accadeva, presumibilmente negli stessi anni (tra il 1270 e il 1290) nel S. Domenico della stessa Orvieto. Il fatto che la chiesa sia interrotta e che la zona al di qua dell'abside, verso la piazza, sia coperta con tetto a due falde con colmo ortogonale all'asse della chiesa non deve trarre in inganno: non si tratta infatti di un transetto, ma dell'ultima campata (con relative monofore) del corpo longitudinale, che probabilmente avrebbe dovuto essere coperto, come nel S. Francesco, con tetto sostenuto da capriate.
Nella prima metà del sec. XIV gli Agostiniani si resero conto che la nuova chiesa non poteva essere completata e che era preferibile intervenire sulle strutture della vecchia chiesa di S. Lucia, ingrandendola e prolungandola, cosa ancor oggi molto chiara dall'esame dei prospetti longitudinali, dove sono ben evidenti due fasi: la prima è sicuramente quella corrispondente alle murature dell'originaria chiesa di S. Lucia, a cui appartengono l'abside, con la grande bifora riportata alla luce nel 1990, e la prima sezione della navata a partire dall'abside medesima, caratterizzata da monofore ogivali intervallate da contrafforti poi eliminati e di cui restano i segni dell'ammorsatura. La situazione è ancora ben leggibile, se si prescinde dagli odierni contrafforti aggettanti pertinenti alla fase settecentesca: sia sul lato destro, sia sul prospetto opposto, visibile dal giardino, dove le contraffortature e le monofore ogivali sono ancora perfettamente conservati. La seconda fase parte dalla metà dei prospetti longitudinali verso la fronte, dove sono visibili arconi ogivali tamponati ed interrotti, anche in corrispondenza dell'attuale facciata: segno che il corpo attuale della chiesa si prolungava, rispetto all'attuale, almeno per tutta l'ampiezza dell'arco dimezzato, cioè circa per altri tre metri. La chiesa trecentesca assunse le caratteristiche tipologiche proprie delle chiese mendicanti (le stesse che avrebbe dovuto avere la chiesa interrotta): una vasta aula non particolarmente caratterizzata da elementi architettonici, il cui scopo principale era quello di accogliere più fedeli possibile: era anch'essa una cosidetta chiesa fienile.
Nella prima metà del secolo XV fu sistemata la facciata della chiesa attuale e, conseguentemente, la piazza: venne, come si è visto, arretrato il filo della fronte, si realizzò il portale ogivale e si regolarizzò la facciata della chiesa incompiuta, regolarizzando così anche lo spazio urbano, fornendola di un arcone che non è altro che la continuazione del muro settentrionale della chiesa attuale, e che chiude obliquamente il grande moncone duecentesco il cui asse, come si è già detto, non è ortogonale a quello della primitiva S. Lucia.
Intorno al 1724 l'interno della chiesa fu oggetto di un restauro radicale. Fu in pratica inserita, all'interno della prima, una nuova chiesa, caratterizzata da un ordine architettonico addossato alle pareti con lesene a travata ritmica, con un prospetto longitudinale studiato per essere esattamente simmetrico; superiormente, da un'alta cornice si sviluppa una copertura a volta. La partitura interna corrisponde, all'esterno, al ritmo dei nuovi contrafforti che sostituirono quelli duecenteschi. Lo stile di questo intervento, pur del periodo barocco, risente già del nuovo gusto purista e quasi neoclassico.
Le demanializzazioni napoleoniche del 1810 portarono ad un insediamento militare nel convento, ed anche l'attuale chiesa di S. Agostino fu adibita a magazzino e ad archivio. Situazione che si è prolungata fino alla fine degli anni '80 del Novecento quando, nell'ambito degli interventi della Legge Speciale per il recupero dei beni culturali di Todi e di Orvieto, la chiesa fu restaurata con attrezzature atte a farne un centro per iniziative culturali. La chiesa incompiuta invece, ceduta in mani private, fu consolidata ed arredata come spazio di ristorazione nel 1975.